Era il 25 ottobre 1872 il giorno in cui il giovane sacerdote Giuseppe Marello – poi vescovo di Acqui – scrisse una lettera al canonico penitenziere Cerruti, esponendo il progetto di una “Compagnia di San Giuseppe”, allo scopo di promuovere nella diocesi di Asti gli interessi cattolici, che egli chiamava gli “interessi di Gesù”: una compagnia di laici militanti nell’apostolato religioso, che uniti ai sacerdoti svolgessero in loco un vero e autentico apostolato “umanitario-cristiano”. A loro avrebbe affidato una missione ben definita e come modello di santità da imitare san Giuseppe , “che fu il primo sulla terra a curare gli interessi di Gesù”. Tra i principi di questa nascente Compagnia aperta a tutti gli uomini di buona volontà cooperanti al bene comune e all’affermazione della fede cattolica, che non prese corpo ma pose le basi per la successiva fondazione della Congregazione degli Oblati di san Giuseppe, figuravano la “solidità del fondamento”, l’ “utilizzazione di ogni occasione e possibilità di bene”, “il solo vincolo spirituale della carità, affinché le tante buone azioni operate individualmente si accrescono reciprocamente con il contatto e con la forza unitiva”. Centocinquant’anni dopo un gruppo di amici, tra cui imprenditori e professionisti in piena attività e altri ritiratisi dalla scena economica per raggiunti limiti di età o causa chiusura forzata delle loro imprese, ha deciso di ispirarsi all’intuizione di quel geniale sacerdote – colmo di sollecitudine e intelligenza creativa, proclamato santo da Giovanni Paolo II il 25 novembre 2001 – per fondare la Compagnia della Buona Impresa. E’ un grido, una risposta accorata all’appello lanciato da Papa Francesco nel 2017 durante la visita pastorale all’Ilva di Genova, quando affermò che “non c’è buona economia senza buoni imprenditori”. «Il 27 novembre 2021, nell’ambito del Festival della dottrina sociale della Chiesa cattolica di Verona, è stato ufficialmente costituito il movimento della Compagnia della Buona Impresa, per iniziativa di una quarantina di imprenditori fondatori, ai quali possono affiancarsi le donne e gli uomini d’impresa disposti a esclamare “eccomi!” all’invito del Santo Padre per un’economia buona, fraterna, solidale, sostenibile e responsabile», ha annunciato Lorenzo Orsenigo, presidente dell’Associazione San Giuseppe Imprenditore, in apertura del convegno “Per una buona economia servono buoni imprenditori”.
Lettura di un messaggio postumo di monsignor Adriano Vincenzi (tratto da “Impresa Etica” n. 1/2019)
«Credo che l’importanza degli imprenditori e la relativa attenzione da parte della Chiesa cattolica nasca dalla consapevolezza che il lavoro, e quindi la possibilità di dignità sociale ed economica della persona, è generato da chi intraprende un’attività economica. Oggi c’è un grande bisogno di persone che sappiano fare impresa, cioè che creino lavoro. Ma il “fare” non è l’unico elemento da tenere in considerazione: bisogna avere uno sguardo rivolto agli scopi del fare. Per cui noi diciamo: va bene produrre, va bene fare, ma questa produzione deve avere il volto e il timbro di una persona. L’impresa di per se’ è anonima, io mi rivolgo agli imprenditori, perché è con le singole persone che si può verificare il cammino intrapreso e la direzione assunta, oppure ipotizzare scenari nuovi e possibili, sapendo che solo dove il fattore umano è rispettato e centrale rispetto allo sviluppo, allora è possibile ipotizzare qualcosa di creativo. La creatività, il generare nuove idee imprenditoriali e nuove forme di occupazione, è un’attività squisitamente umana. E’ per questo che parliamo di bene comune e non di semplice produzione del bene. E’ per questo che all’interno del modo di produrre ricchezza è contenuto anche il criterio con cui la ridistribuiamo. Se questo concetti non vanno di pari passo, noi stravolgiamo il concetto di impresa e soprattutto perdiamo il volto stesso dell’impresa, che è dato da quelli che lavorano e da quelli che si sono ingegnati e organizzati per avviare e condurre l’attività. Oggi servono imprenditori, e lavoratori, uniti da questa grande responsabilità senza sconti, in modo da poter anche ipotizzare forme nuove di relazioni economiche. La novità oggi è pensare che la produzione non sia più, soltanto, uno scambio di beni ma contenga anche uno sguardo verso il futuro, la costruzione di una reputazione, forme di gratuità e dimensioni relazionali arricchenti. Solo un uomo può affrontare queste sfide, non una macchina o una tecnologia; in caso contrario, continueremo ad operare senza sapere dove stiamo andando».
Saluto di Adriano Tomba, direttore generale Fondazione Cattolica Assicurazioni
Rivolgo un saluto particolare a chi ha pensato in origine all’ASGI – Associazione San Giuseppe Imprenditore, e un ringraziamento a colui e a coloro che sono venuti a trovarmi all’inizio di questa storia, alla costruzione di una realtà unica. Come Fondazione noi non facciamo iniziare tutto, perché ci sono iniziative e progetti destinati a morire. Noi non vogliamo morire nelle cose che vanno a spegnersi, ma vivere in quelle che vogliono e riescono a vivere. L’esperienza umana e associativa di San Giuseppe Imprenditore vive, perché si sta occupando di imprenditori. Ma chi è l’imprenditore? E’ colui che ha un’impresa. Si può fare impresa in tanti modi, farlo in un certo modo porta alla distruzione di tante realtà, ma sappiamo anche che fare impresa in un altro modo, più bello e interessante, crea sviluppo. Tuttavia, anche gli imprenditori migliori possono fermarsi, l’impresa può incontrare delle difficoltà; a volte dipendono dall’imprenditore, a volte da altre situazioni. Sono andato a trovare nel 2009 un amico imprenditore che aveva in corso dei grossi appalti con diversi Paesi dell’Africa del nord. A un certo punto, in questi Paesi accadono delle rivoluzioni e si fermano tutti gli appalti. Dipendevano da lui, questi fatti? No. Era un imprenditore capace di fare il suo mestiere? Sì. Aveva diversificato i mercati con una buona strategia aziendale? Sì. Ma se si verificano rivoluzioni sociali in tutti quei mercati dove stai sviluppando il tuo maggior business, allora le cose si complicano. Questa è la verità: l’impresa può fermarsi, ma l’intrapresa non può fermarsi. Io credo che l’ASGI stia cercando di non far fermare l’intrapresa, perché altrimenti l’imprenditore muore insieme all’impresa morta. Mentre l’intrapresa riguarda l’uomo e non si ferma mai. La vita è intrapresa, sposarsi è intraprendere, fare un figlio è intraprendere. Chi non ha più il coraggio o la speranza, chi si ferma fa implodere tutta la realtà intorno a se’. Per questo abbiamo bisogno di persone e iniziative come ASGI all’interno del Festival, di cui sono una colonna, che ci ricordino il senso della speranza e il senso del fare impresa. Tante iniziative imprenditoriali si fermeranno, perché spesso l’impresa è giudicata sulle funzioni e non sul senso del suo sussistere. Come si fa a dare un senso all’impresa? Quando si riesce a dare un senso al nostro intraprendere: è il mettersi in gioco, individuando un bisogno al quale poter rispondere, mettendo insieme capitale e lavoro. Ma se quel bisogno dovesse scomparire, o se la mia funzione non fosse più riconosciuta come utile, non devo perdere il senso della mia presenza nel mondo. Vorrei allora ringraziare in particolare Lorenzo Orsenigo, perché da quella che sembrava un’apparente sconfitta ha saputo cogliere il senso per continuare la sua intrapresa, il cui esito sono le tante azioni e realizzazioni che già cominciamo a vedere e quelle ancora più belle che vedremo in futuro.
Intervento di Lorenzo Orsenigo, presidente ASGI – Associazione San Giuseppe Imprenditore
Perché oggi a Verona, nell’ambito del Festival DSC, nasce il movimento battezzato “Compagnia della Buona Impresa”? Iniziamo da me, dalla mia storia. Confesso che ciò che dico e faccio con gli amici volontari dell’Associazione San Giuseppe Imprenditore è effetto dell’enorme batosta economica che mi ha colpito nel 2009/10. La batosta è stata comunque un’avventura umana e familiare, triste e bella nello stesso tempo, avventura che mi ha fatto molto riflettere e mi ha portato all’appuntamento di oggi. E devo molto alla mia famiglia, che non mi ha mai redarguito sul fatto che la mia tenacia di resistere a tutti i costi, senza licenziare, per tre interi anni, non ci abbia premiati. Abbiamo perso tutto. I miei dipendenti? Li ho trattati bene, prima e dopo il concordato. A volte, quando ci incontriamo, mi offrono il caffè. Perché allora nasce la Compagnia della Buona Impresa? La risposta più semplice e immediata è: tranquillizzare e confortare il Santo Padre, confermandogli in una lettera che molti di noi hanno cuore e mente adatti a fare buona impresa, cioè impresa etica, solidale, fraterna e sostenibile, pur nelle mille difficoltà che ci attanagliano. La lettera è bella e chiara, coglie il momento tragico in cui viviamo e le preoccupazioni di Papa Francesco. Riporta i nomi dei promotori e dei fondatori (i colleghi imprenditori non caduti da cavallo) e, unitamente all’edizione speciale della rivista “Impresa Etica”, verrà consegnata personalmente al Santo Padre. Ragionando con alcuni amici imprenditori che intervengono dopo di me, è maturata con entusiasmo l’idea che Verona non sia un punto di arrivo, ma di partenza. Per quale destinazione? Per studiare e progettare come essere numerosi e migliori sul piano etico e anche sul piano gestionale, nella corrispondenza tra dimensione spirituale, fede e cultura aziendale. Le università ci consiglino e ci istruiscano pure, ma senza la nostra esperienza sul campo sono povere. L’economia ha bisogno di noi, non c’è dubbio. Tre sono le qualità principali di chi fa impresa: idee, volontà e coraggio. Conclusione: siamo gli unici che creano posti di lavoro nell‘ambito privato, e sappiamo e vediamo quante persone, soprattutto tra le nuove povertà, cercano disperatamente un’occupazione. Anche i migranti vengono da noi per cercare un futuro migliore: come possiamo non essere moralmente coinvolti dalle conseguenze sociali dei mali globali che stiamo vivendo? E ancora: le nostre esperienze di vita aziendale? Quasi ci vergogniamo di trasmetterle, specialmente nel ricambio generazionale. E’ sbagliato, i giovani devono poter contare sul valore dei nostri successi e sulla conoscenza dei nostri errori, per provare a migliorare il mondo che gli consegniamo. Riflettiamo su quello che facciamo, sul perché e sul come lo facciamo. Consci che la nostra categoria non è granché stimata, vediamo di migliorare la nostra immagine. E per chi tra noi ha fede, smettiamola di essere cattolici di domenica e squali al lunedì. C’è molto lavoro da fare: ho chiesto aiuto ai grandi industriali, ai Della Valle, ai Cucinelli, ai Lavazza e agli Arvedi di turno: mettete a disposizione tutta o una parte delle vostre fondazioni per questi scopi. Lavoriamo in sinergia. La memoria di un passato glorioso non basta più per far nascere altri imprenditori illuminati e solidali con l’uomo e la natura. L’esperienza singola di tutti noi, raccolta, studiata e proiettata nel domani è una ricchezza incommensurabile. Ma è chiusa in un cassetto! Facciamo fare un passo indietro al nostro “io”, ritroviamoci insieme in una community proattiva, grandi e piccoli imprenditori, dove i grandi non si vergognino di stare con i piccoli e i piccoli sappiano cogliere i modelli migliori da chi ha realizzato imprese di successo. E’ questo il mio appello: cerco donne e uomini volonterosi e di buon cuore per lavorare con passione a questo progetto, per unire tutti coloro che si riconoscono nel valore della buona economia. E per continuare l’opera del Telefono Arancione, che con i suoi volontari mantiene vivo in tanti imprenditori caduti da cavallo il senso del loro intraprendere quotidiano.
Lettera aperta a Papa Francesco, sottoscritta dai promotori e dai fondatori della Compagnia della Buona Impresa
Sua Santità Francesco,
dopo la crisi economico-finanziaria del 2008, l’attuale pandemia ha messo in luce non solo la fallacia dell’incantesimo del ben-essere ma anche la fragilità degli stili di vita, che minacciano lo stesso futuro della “casa comune”. Dalla Laudato sì a Fratelli tutti Lei ci testimonia non solo che è necessario cambiare modello socioeconomico, ma che ciò è possibile. Durante la Sua visita pastorale del 2017 a Genova, presso lo stabilimento dell’Ilva, Lei espresse la Sua preoccupazione riguardo alla difficile situazione del mondo del lavoro affermando che “non può esserci buona economia senza buoni imprenditori”.
Di fronte all’emergere di una fragilità personale, collettiva, sociale e culturale, noi imprenditori non intendiamo rassegnarci e, forti delle Sue parole e dei Suoi richiami per un’economia che metta realmente e fattivamente la persona al centro, abbiamo deciso di operare il cambiamento già dentro la vita delle nostre imprese, impostando nuovi modelli di governance e recuperando la dimensione relazionale e comunitaria, dove vivere e lavorare non sia una fatica, ma l’opportunità e la speranza condivisa con i nostri collaboratori di vivere un futuro certo di vita buona in un pianeta abitabile.
Da tali passi e scelte individuali, aggregati nel nome di san Giuseppe artigiano di cui si avvia a conclusione l’anno speciale dedicato dalla Sua lettera apostolica Patris corde, e ispirati dalla teologia economica di san Francesco, siamo giunti oggi alla costituzione della Compagnia della Buona Impresa, libera unione di imprenditori e imprenditrici di buona volontà suggellata a Verona, sabato 27 novembre 2021, nell’ambito dell’XI Festival della dottrina sociale della Chiesa cattolica.
Siamo consapevoli che enunciare propositi è semplice, ma difficile compierli. Lei in più occasioni e a più riprese ci ha chiamato a contribuire a uno sviluppo umano integrale, equo e sostenibile. Noi, promotori e fondatori della Compagnia della Buona Impresa, vogliamo essere i protagonisti di questo cambiamento e Le rispondiamo: eccoci!
Certi che continuerà ad accompagnarci in questo cammino con la Sua presenza magistrale e la preghiera, come firmatari del patto della “buona imprenditoria” manifestiamo il desiderio di poterLa salutare e confermarLe personalmente la nostra deferenza e il nostro impegno, invocando la Sua paterna benedizione.
I fondatori Franco Arrighi – Primo Barzoni – Eugenio Bellotti – Sandro Bonomi – Arsenio Borgnini – Francesco Brunetto – Franco Castelli – Giovanni Chianetta – Claudio Cioetto – Salvatore Cortesini – Pietro D’amanti – Roberto Delli Fiori – Marco Durante – Gaia Ferraro – Giuseppe Ferraro – Mirco Gasparotto – Stefano Ghiggia – Renzo Ghiringhelli – Renato Goria – Luca Guzzabocca – Gennaro Illiano – Gino Lunelli – Filiberto Martinetto – Luciano Mascarino – Santo Mascellino – Antonella Mazzoccato – Andrea Mondini – Roberto Morgantini – Sauro Pellerucci – Albano Poli – Paolo Porrino – Alessandro Pratesi – Cristiano Pusca – Ercolino Ranieri – Antonio Rillosi – Maurizio Riva – Nicolò Rosso – Alberto Stella – Andrea Stella – Pierluigi Streparava
I promotori Alberto Berger – Giuseppe Beritelli – Fabio Bonanni – Luca Fontana – Emilio Fornasa – Ennio Florian – Paolo Gibertini – Adolfo Guzzini – Massimo Maniscalco – Chiara Marelli – Andrea Margaritelli – Beppe Moretti – Lorenzo Orsenigo – Walter Robbiati – Tiberio Roda – Lino Rosetti – Giacomo Verrua – Mario Zanetti
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